martedì 7 ottobre 2008

Reati in materia d'IVA e d'iposta sui redditi

La legge 516/82 (manette agli evasori) si dimostrò alla prova dei fatti incapace di fronteggiare adeguatamente il fenomeno.
La dottrina ha evidenziato come l’eccessivo numero dei comportamenti penalmente rilevanti, la generica e incerta determinazione delle fattispecie sanzionatorie, la criminalizzazione di violazioni meramente formali, avessero nel loro insieme diminuito nel contribuente sia la percezione del disvalore dei comportamenti costituenti reato, sia il timore della sanzione. La mini riforma introdotta con la legge 154/91 costituì un tentativo di risolvere gli aspetti più controversi della legge 516/82, attraverso una riformulazione della gran parte della fattispecie di reato ed una riduzione di quelle connesse ad infrazioni contabili; anch’essa tuttavia non fu in grado di ottenere risultati di particolare rilievo. La legge 516/82 aveva determinato un’inflazione dei procedimenti innanzi al giudice penale, i quali era giocoforza cadessero in molti casi in prescrizione. Si arrivò all’esigenza di una radicale riforma della materia, formulata nel disegno di legge delega C1850 del 1996, col quale si attribuiva al Governo mandato per depenalizzare i reati minori. All’art. 6, lettera c), venne infatti prevista la sostituzione delle sanzioni penali previste dalla legge 516/82 con sanzioni amministrative, ad esclusione però dei delitti di frode fiscale di cui all’art. 4 della suddetta legge. Il Governo successivamente (dicembre 1997), per evitare che il progetto di riforma si limitasse a ridurre la fattispecie penali contemplate dalla legge 516/82 senza apportare un miglioramento all’azione di regressione e prevenzione dell’evasione, presentò al Senato il disegno di legge delega n. 2979 concernente la riforma dei reati in materia d’imposte dirette e sul valore aggiunto.
Il pletorico complesso di fattispecie criminose aveva determinato un’eccessiva proliferazione dei procedimenti penal-tributari, costringendo il legislatore a comminare per la maggior parte delle ipotesi pene particolarmente lievi, inidonee a costituire un valido deterrente per l’evasione, con ciò causando una sostanziale svalutazione dell’illecito tributario. Un sistema, inoltre, in cui l’attenzione fosse concentrata sulla dichiarazione annuale, momento nel quale si concretizza in capo al contribuente il presupposto obiettivo e definitivo dell’obbligazione e dell’evasione d’imposta, e nel quale l’introduzione di soglie di punibilità consentisse di limitare l’intervento penale ai soli illeciti economicamente significativi per deflazionare il numero dei procedimenti penali. In occasione del riesame (3 marzo 1999) presso il Senato del disegno di legge delega sulla depenalizzazione dei reati minori, furono a questi apportati alcuni emendamenti, con cui il titolo del disegno di legge divenne “Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale”, e s’introdusse l’art. 9, rubricato “Reati in materia d’imposte sui redditi e sul valore aggiunto”, nel quale si delegò il Governo ad emanare entro 8 mesi un decreto legislativo recante la disciplina dei nuovi reati tributari. L’articolo summenzionato riproponeva in sostanza i principi del precedente disegno di legge delega n. 2979, prevedendo inoltre l’introduzione di una normativa diretta a disciplinare i rapporti tra sistema penale e quello sanzionatorio amministrativo col quale s’intendeva escludere, in caso di convergenza sul medesimo fatto di norme repressive eterogenee, il cumulo tra le misure punitive dell’uno e dell’altro genus (principio di specialità).

La filosofia
Il nuovo sistema attuato con la legge delega 25 giugno 1999, n. 205 opera una completa inversione di rotta rispetto a quello delineato dalla legge 516/82 e successive modifiche, assumendo come obiettivo strategico la limitazione della repressione penale ai soli fatti direttamente connessi, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, alla lesione degli interessi fiscali, rinunciando alla criminalizzazione delle violazioni meramente formali e preparatorie.
La concezione c.d. storica prevede dunque che il reato tributario si consuma quando il contribuente non adempie all’obbligo di contribuzione, evento che per la sua effettiva lesività (rilevanza o fraudolenza) merita la sanzione penale. Le eventuali infrazioni relative agli atti preparatori o preliminari a quest’epilogo, non avendo rilevanza penale, potranno pertanto essere assoggettate soltanto a sanzione amministrativa, semprechè l’ordinamento non punisca il tentativo (a questo proposito l’art. 6 D.Lgs. 74/00, espressamente esclude la punibilità a titolo di tentativo dei delitti previsti agli artt. 2, 3 e 4). La legge n. 80 del 2003 ha espressamente previsto che la sanzione fiscale penale andrà applicata “solo nei casi di frode e di effettivo e rilevante danno per l’erario”. Con il nuovo sistema si porterà lo strumento repressivo criminale a casi estremi in cui si evidenzino sia un palese intento di frodare il fisco, sia l’effetto di un danno di spessore: sarà cioè assegnato un ruolo di extrema ratio, sul presupposto che per le condotte minori sia sufficiente il sistema repressivo delle sanzioni amministrative. La scelta di ancorare la sanzione penale all’offesa degli interessi ha indotto il legislatore delegato a concentrare l’attenzione sulla dichiarazione annuale per le imposte sui redditi e sul valore aggiunto quale momento consumativi del reato, per cui le violazioni tributarie “preparatorie” come le omesse annotazioni in contabilità di corrispettivi, l’irregolare tenuta delle scritture contabili, rimangono prive di rilevanza penale ex se.
Non si hanno dunque più reati di pericolo a consumazione anticipata rispetto all’evasione e realizzabili in corso d’anno, ma delitti aventi per oggetto la dichiarazione annuale, momento conclusivo del rapporto periodico fra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente. Il ruolo centrale rivestito dalla dichiarazione annuale si ricava anche dalla lettura dell’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto, nel quale si specifica che l’imposta evasa, cui fanno riferimento i successivi artt. 3 e 4, è la differenza fra quanto dovuto in astratto e quanto indicato nella dichiarazione, al netto di quanto versato dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, ritenuta, ecc…
Ne discende che colui il quale presenti una dichiarazione fedele, ma ometta in tutto o in parte il versamento del tributo, non potrebbe essere perseguito penalmente.



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