mercoledì 8 ottobre 2008

Il crollo finanziario. Crisi apparente o reale?

Il periodo che stiamo attraversando non è certo dei migliori. Molti azzardano paragonare questi giorni che stiamo vivendo alle veri basi di una crisi simile a quella del ’29 ma tutto il mondo e i rappresentanti di ogni singolo paese sono ormai forti di una storia e di un’esperienza passata.

Ma cosa sta realmente accadendo?
Cercherò in poche parole di sintetizzare l’origine di questa diffusa crisi e il suo andamento, sulla base della spiegazione del Prof. Leon.
La diffusa crisi finanziaria si sta tramutando in una vera e propria crisi economica che può cambiare le sorti dell’intero pianeta. Definiamo crisi finanziaria un abbassamento del tasso di crescita del PIL, cosa che stava accadendo un po’ in tutta Europa, Stati Uniti e Cina negli ultimi anni. Un abbassamento del tasso di crescita ha comportato un rallentamento dell’economia ma pur sempre crescita. Con la crisi del mercato, originata dalle banche americane, comporta una diminuzione del denaro circolante, e pertanto le imprese non possono più continuare il loro andamento produttivo poiché non possono più investire quello che avevano pensato di investire. A tale ridimensionamento degli investimenti da parte delle imprese sussegue un periodo di diminuzione della produzione, degli acquisti e numerosi licenziamenti. D’altra parte le famiglie non consumano e non mettono più in circolazione le loro liquidità, facendo molta attenzione a spendere, cercando di risparmiare il più possibile e mantenendo nelle loro mani, quindi, più moneta possibile. Il tutto può essere sintetizzato in un rallentamento della velocità di circolazione della moneta, rallentamento della produzione e rallentamento del commercio; che posso sintetizzare in un’unica parola : recessione.
La crisi reale che stiamo vivendo è visibile in tutto il mondo con varia intensità. Certo il luogo d’origine della crollo è ben risaputo, ma l’Europa di certo non può assistere come spettatore passivo delle azioni americane. Il dollaro è lo strumento con cui vengono svolti tutti gli scambi internazionali e certamente un suo crollo avrebbe ripercussione su tutti i detentori della moneta verde. Questo per gli Stati Uniti ha un duplice aspetto : la forza americana deriva dalla moneta e pertanto nessun paese permetterebbe un crollo dell’economia statunitense poiché rivivrebbe tale crisi sulla propria pelle; d’altra parte la loro detenzione comporta un forte indebitamento estero negli Stati Uniti poiché la moneta è altrove, caratteristica peculiare della fragilità i tale sistema.
Nel momento in cui tutti i detentori di dollari decidessero di non far più affidamento su di essi e iniziassero a venderli, il dollaro precipiterebbe e le conseguenze di tale azione potrebbe distruggere l’intera economia mondiale. Questa conclusione catastrofica e solamente un’ipotesi molto remota poiché al crollo americano sarebbe connesso l’intero pianeta.
Per evitare di andare ancora più in basso c’è bisogno di cooperazione, innanzitutto da parte dei paesi europei che potrebbero sfruttare tale momento per imporre la loro stabilità a quella americana.

martedì 7 ottobre 2008

Il dolo specifico

Le fattispecie disciplinate dal D.Lgs. 74/00 sono connotate dal dolo specifico d’evasione o di conseguimento d’indebiti rimborsi d’imposta. Ai fini dell’esistenza del reato necessita la prova dell’elemento psicologo in parola, escludendosi un dolus in re ipsa.
L’elemento del dolo specifico, investendo le diverse fattispecie delittuose previste dal decreto, viene ad assumere una funzione unificante delle stesse, in linea con quanto già previsto nell’art. 4 legge 516/82.Lo si desume sia dall’art. 27 Cost., che esprime la necessità dell’identità tra autore del reato e soggetto passivo della sanzione, sia dall’ormai consolidata esigenza di subordinare l’esistenza dell’illecito ad un agere doloso o colposo, sia dal rilievo della personalità del reo per la determinazione di tipo e misura della sanzione. Il dolo specifico gioca dunque nel sistema penal-tributario un ruolo di garanzia, particolarmente nei confronti di coloro i quali siano interessati da procedimenti penali, verso i quali il giudice non potrà astenersi dal verificare l’effettività dell’intento evasivo.

Le soglie quantitative di punibilità

Alla volontà di limitare le ipotesi di perseguibilità penale è a sua volta legata la previsione di soglie quantitative di rilevanza del fatto, attraverso cui si amplia il novero delle violazioni riservate alle sanzioni amministrative e si limitano le incriminazioni a quelle sole omissioni od irregolarità capaci di tradursi in un danno significativamente apprezzabile per l’erario, evitando di pervenire a soluzioni eccessivamente rigorose che avrebbero portato a sanzionare fatti di scarso disvalore sociale.
La legge delega 205/99 prevedeva due soglie quantitative, che fossero superiori ad un determinato valore percentuale, dato dal rapporto tra i comportamenti positivi occultati e quelli dichiarati, o comunque ad un valore assoluto rapportato alla base imponibile non dichiarata. A questi limiti la citata legge, ne ha aggiunto un altro, ragguagliato all’entità dell’imposta evasa, per cui per accertare il superamento della soglia quantitativa, e quindi l’astratta rilevanza penale della condotta, non è più sufficiente verificare l’omessa indicazione d’elementi di facile accertamento, ma diviene necessaria la determinazione dell’imposta dovuta attraverso le complesse operazioni di calcolo previste dalle norme tributarie. Dal punto di vista processuale ciò determinerà l’esigenza per il giudice d’avvalersi di consulenze e perizie tecnico-contabili, le quali, oltre ad appesantire l’iter processuale, renderanno il processo penal-tributario particolarmente costoso.

Reati in materia d'IVA e d'iposta sui redditi

La legge 516/82 (manette agli evasori) si dimostrò alla prova dei fatti incapace di fronteggiare adeguatamente il fenomeno.
La dottrina ha evidenziato come l’eccessivo numero dei comportamenti penalmente rilevanti, la generica e incerta determinazione delle fattispecie sanzionatorie, la criminalizzazione di violazioni meramente formali, avessero nel loro insieme diminuito nel contribuente sia la percezione del disvalore dei comportamenti costituenti reato, sia il timore della sanzione. La mini riforma introdotta con la legge 154/91 costituì un tentativo di risolvere gli aspetti più controversi della legge 516/82, attraverso una riformulazione della gran parte della fattispecie di reato ed una riduzione di quelle connesse ad infrazioni contabili; anch’essa tuttavia non fu in grado di ottenere risultati di particolare rilievo. La legge 516/82 aveva determinato un’inflazione dei procedimenti innanzi al giudice penale, i quali era giocoforza cadessero in molti casi in prescrizione. Si arrivò all’esigenza di una radicale riforma della materia, formulata nel disegno di legge delega C1850 del 1996, col quale si attribuiva al Governo mandato per depenalizzare i reati minori. All’art. 6, lettera c), venne infatti prevista la sostituzione delle sanzioni penali previste dalla legge 516/82 con sanzioni amministrative, ad esclusione però dei delitti di frode fiscale di cui all’art. 4 della suddetta legge. Il Governo successivamente (dicembre 1997), per evitare che il progetto di riforma si limitasse a ridurre la fattispecie penali contemplate dalla legge 516/82 senza apportare un miglioramento all’azione di regressione e prevenzione dell’evasione, presentò al Senato il disegno di legge delega n. 2979 concernente la riforma dei reati in materia d’imposte dirette e sul valore aggiunto.
Il pletorico complesso di fattispecie criminose aveva determinato un’eccessiva proliferazione dei procedimenti penal-tributari, costringendo il legislatore a comminare per la maggior parte delle ipotesi pene particolarmente lievi, inidonee a costituire un valido deterrente per l’evasione, con ciò causando una sostanziale svalutazione dell’illecito tributario. Un sistema, inoltre, in cui l’attenzione fosse concentrata sulla dichiarazione annuale, momento nel quale si concretizza in capo al contribuente il presupposto obiettivo e definitivo dell’obbligazione e dell’evasione d’imposta, e nel quale l’introduzione di soglie di punibilità consentisse di limitare l’intervento penale ai soli illeciti economicamente significativi per deflazionare il numero dei procedimenti penali. In occasione del riesame (3 marzo 1999) presso il Senato del disegno di legge delega sulla depenalizzazione dei reati minori, furono a questi apportati alcuni emendamenti, con cui il titolo del disegno di legge divenne “Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale”, e s’introdusse l’art. 9, rubricato “Reati in materia d’imposte sui redditi e sul valore aggiunto”, nel quale si delegò il Governo ad emanare entro 8 mesi un decreto legislativo recante la disciplina dei nuovi reati tributari. L’articolo summenzionato riproponeva in sostanza i principi del precedente disegno di legge delega n. 2979, prevedendo inoltre l’introduzione di una normativa diretta a disciplinare i rapporti tra sistema penale e quello sanzionatorio amministrativo col quale s’intendeva escludere, in caso di convergenza sul medesimo fatto di norme repressive eterogenee, il cumulo tra le misure punitive dell’uno e dell’altro genus (principio di specialità).

La filosofia
Il nuovo sistema attuato con la legge delega 25 giugno 1999, n. 205 opera una completa inversione di rotta rispetto a quello delineato dalla legge 516/82 e successive modifiche, assumendo come obiettivo strategico la limitazione della repressione penale ai soli fatti direttamente connessi, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, alla lesione degli interessi fiscali, rinunciando alla criminalizzazione delle violazioni meramente formali e preparatorie.
La concezione c.d. storica prevede dunque che il reato tributario si consuma quando il contribuente non adempie all’obbligo di contribuzione, evento che per la sua effettiva lesività (rilevanza o fraudolenza) merita la sanzione penale. Le eventuali infrazioni relative agli atti preparatori o preliminari a quest’epilogo, non avendo rilevanza penale, potranno pertanto essere assoggettate soltanto a sanzione amministrativa, semprechè l’ordinamento non punisca il tentativo (a questo proposito l’art. 6 D.Lgs. 74/00, espressamente esclude la punibilità a titolo di tentativo dei delitti previsti agli artt. 2, 3 e 4). La legge n. 80 del 2003 ha espressamente previsto che la sanzione fiscale penale andrà applicata “solo nei casi di frode e di effettivo e rilevante danno per l’erario”. Con il nuovo sistema si porterà lo strumento repressivo criminale a casi estremi in cui si evidenzino sia un palese intento di frodare il fisco, sia l’effetto di un danno di spessore: sarà cioè assegnato un ruolo di extrema ratio, sul presupposto che per le condotte minori sia sufficiente il sistema repressivo delle sanzioni amministrative. La scelta di ancorare la sanzione penale all’offesa degli interessi ha indotto il legislatore delegato a concentrare l’attenzione sulla dichiarazione annuale per le imposte sui redditi e sul valore aggiunto quale momento consumativi del reato, per cui le violazioni tributarie “preparatorie” come le omesse annotazioni in contabilità di corrispettivi, l’irregolare tenuta delle scritture contabili, rimangono prive di rilevanza penale ex se.
Non si hanno dunque più reati di pericolo a consumazione anticipata rispetto all’evasione e realizzabili in corso d’anno, ma delitti aventi per oggetto la dichiarazione annuale, momento conclusivo del rapporto periodico fra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente. Il ruolo centrale rivestito dalla dichiarazione annuale si ricava anche dalla lettura dell’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto, nel quale si specifica che l’imposta evasa, cui fanno riferimento i successivi artt. 3 e 4, è la differenza fra quanto dovuto in astratto e quanto indicato nella dichiarazione, al netto di quanto versato dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, ritenuta, ecc…
Ne discende che colui il quale presenti una dichiarazione fedele, ma ometta in tutto o in parte il versamento del tributo, non potrebbe essere perseguito penalmente.



Le misure cautelari

La riforma non ha risparmiato la disciplina delle misure cautelari; l’ufficio con l’ente impositore date le valutazioni tratte dall’atto di irrogazione della sanzione o dal processo verbale di constatazione e dopo notifica, se ha timore di perdere la garanzia del proprio credito, con istanza motivata, può chiedere al presidente della commissione tributaria provinciale:

- L’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido

- L’autorizzazione a procedere a mezzo di ufficiale giudiziario

- Il sequestro conservativo dei loro beni

Le misure cautelari sono:

  1. Per i profili soggettivi, richieste dall’ufficio o dall’ente titolari della potestà di accertamento
  2. Per i profili temporali, richieste dopo la notifica degli atti di contestazione, del provvedimento di irrogazione della sanzione, del processo verbale di constatazione (effettiva verifica della violazione)
  3. Per l’organo giudiziario competente, richieste al presidente della commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio o l’ente procedente
  4. Per l’oggetto della richiesta, richieste l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido e l’autorizzazione a procedere a mezzo di ufficiale giudiziario.

L’istanza in primo luogo deve essere motivata e deve indicare:

- Il titolo in base al quale si procede

- La somma per la quale si richiede la misura cautelare

- La ragione che mette in dubbio la garanzia del credito

- La specifica misura cautelare

- L’individuazione dei beni per i quali si intende procedere

Le misure cautelari vengono applicate anche sui beni o sull’azienda dei soggetti obbligati in solido se richiesto dall’ufficio; i valori dei beni non debbono superare l’importo dovuto per il pagamento della sanzione. Solo nei casi di eccezionale urgenza o pericolo nel ritardo il presidente provvede con decreto motivato e comunque reclamabile entro trenta giorni al collegio.
Quando non ricorrono i casi di eccezionale urgenza o gravità il presidente fissa la trattazione dell’istanza per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima.
Le parti interessate posso prestare garanzia mediante cauzione o fidejussione bancaria o assicurativa per evitare l’esecuzione delle misure cautelari, in modo tale che l’organo davanti al quale si procede possa non adottare o adottare in misura parziale l’ipoteca ed i sequestro conservativo. Se entro centoventi giorni non viene notificato l’atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni il provvedimento cautelare perde di efficacia (si intendono le istanze presentate sulla sola base della notificazione); in tale caso il presidente della commissione tributaria provinciale o il presidente del tribunale dispongono la cancellazione dell’ipoteca.
Espressamente previsto dalla legge è il caso di decadenza delle misure cautelari, il d.lgs 472/97 dispone che se a seguito della notifica il trasgressore o i soggetti obbligati in solido presentano deduzioni difensive l’ufficio deve provvedere l’atto di irrogazione entro centoventi giorni, pena la perdita di efficacia delle misure cautelari. La cessazione dell’efficacia delle misure cautelari avviene a seguito di sentenza favorevole al contribuente, cioè caso in cui sia stata emessa una sentenza che accoglie il ricorso o la domanda, dove il giudice ritiene infondata o illegittima la motivazione adottata; in questi termini la sentenza comporta la cancellazione dell’ipoteca. Nel caso la sentenza sia solo parzialmente favorevole il giudici ridurrà proporzionalmente l’entità dell’iscrizione o del sequestro. Se la sentenza è pronunciata dalla Corte di Cassazione a tal riguardo provvederà il giudice la cui sentenza è stata impugnata con giudizio di cassazione.
Vi è la possibilità di una sospensione dei rimborsi quando l’autore della violazione vanta un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, la sospensione opera nei limiti della somma risultante dall’atto di contestazione, si ricorda che per gli uffici questo è un atto facoltativo.
Una volta che il provvedimento è definitivo l’ufficio o l’ente competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito, stabilendo il totale o parziale accoglimento del provvedimento dell’ente accertatore. Sia la compensazione che la sospensione devono essere notificate dal trasgressore e dai soggetti obbligati in solido, che possono sempre impugnare l’atto davanti alla commissione tributaria.

Tutela giurisdizionale, tutela amministrativa ed esecuzione delle sanzioni

Il legislatore disciplina l’applicazione di una sanzione in capo ad un soggetto che commette violazione così come la possibilità del soggetto di difendersi e replicare, ciò è necessario in un sistema punitivo articolato e complesso come nella riforma della sanzioni tributarie non penali.
Il ricorso contro il provvedimento davanti alle commissioni tributarie è proponibile entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento, sono impugnabili tutti gli atti di irrogazione e quindi quello di contestazione, di irrogazione contestuale e l’iscrizione a ruolo per i ritardati od omessi pagamenti. Il ricorso amministrativo o l’azione davanti all’autorità giudiziaria è ammessa anch’essa entro sessanta giorni, il soggetto che impugna l’atto può anche avvalersi dell’autorità giudiziaria ordinaria evitando il ricorso amministrativo.
La concorrenza di azioni amministrative e giurisdizionali può avvenire in presenza di una molteplicità di soggetti legittimati all’impugnazione del provvedimento.
L’esecuzione delle sanzioni in corso di giudizio è una novità introdotta sulle sanzioni tributarie non penali, il d.lgs 472/97 ha previsto una riscossione frazionata della sanzione irrogata, anche quando non è prevista la riscossione frazionata del tributo cui la violazione si riferisce, si procederà infatti alla riscossione a titolo provvisorio (due terzi dopo la sentenza della commissione provinciale che respinge il ricorso, per l’ammontare che risulta dalla sentenza di primo grado, per l’ammontare residuo determinato dalla sentenza della commissione tributaria regionale).
La sospensione dell’esecuzione delle sanzioni è compito delle commissioni tributarie regionali, questo a garanzia del contribuente. La sospensione deve essere concessa quando viene prestata adeguata garanzia anche a mezzo di fideiussione bancaria e assicurativa. Nel caso in cui non sussista la giurisdizione delle commissioni tributarie ed è stato proposto ricorso amministrativo vale ancora il principio della riscossione frazionata e quindi la riscossa provvisoria della sanzione per metà dell’ammontare dopo la decisione dell’organo al quale è stato proposto il ricorso. Se si ricorre all’autorità giudiziaria contro il provvedimento dell’organo amministrativo l’autorità può disporre la sospensione quando dall’esecuzione del provvedimento può derivare un danno grave o irreparabile; in caso di idonea garanzia è invece obbligata, a disporre la sospensione.
L’azione iniziata davanti all’autorità giudiziaria ordinaria comporta che la sanzione pecuniaria venga riscossa per intero o per il suo residuo ammontare dopo la sentenza di primo grado, salvo diverse disposizioni del giudice. Qualora dalla controversia risulti una somma corrisposta maggiore di quella dovuta l’ufficio provvederà al rimborso della differenza entro novanta giorni.
Ed infine la riscossione frazionata in pendenza di giudizio sia per le sanzioni che per i tributi, se prevista, fa sì che le sanzioni accessorie siano eseguibili solo se il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo.

Il procedimento di irrogazione delle sanzioni

Il legislatore in questo ambito ha ritenuto di dettare due diverse discipline, una di base e una derogatoria. La disciplina di base vale come regola generale e si concretizza nella notifica di uno specifico atto di contestazione delle violazioni; la seconda consiste nell’irrogazione immediata, senza previa contestazione, ma contestualmente all’atto di accertamento.
La disciplina ordinaria del procedimento di irrogazione è obbligatoria quando si contestano violazioni che non hanno carattere sostanziale; la procedura definita in deroga, essendo più semplice per l’ufficio o per l’ente accertatore, risulta prevalente tra le due.
La procedura di irrogazione nella disciplina ordinaria vede un primo atto, di contestazione, che deve contenere, a pena di nullità, elementi come:

- Fatti attribuiti al trasgressore

- Elementi probatori dimostranti tali fatti

- Norme applicate

- Criteri seguiti ai fini della determinazione della sanzione dall’ufficio o ente

- Minimi edittali previsti dalla legge per le forme di violazione

La definizione della controversia avviene con il pagamento di un quarto della sanzione indicata ed impedisce l’irrogazione delle sanzioni accessorie. La finalità è quella di abbattere il contenzioso rendendo appetibile al trasgressore la chiusura del profilo sanzionatorio con un pagamento ridotto. Un’altra possibilità per il trasgressore è quella di produrre delle deduzioni difensive entro sessanta giorni, alle quali l’ufficio, nel tempo massimo di un anno, risponde con un atto motivato e provvede ad irrogare le sanzioni. L’atto deve essere motivato a pena di nullità e deve contenere le valutazioni fatte in merito.
Ulteriore possibilità per il trasgressore è l’impugnazione del provvedimenti di irrogazione delle sanzioni entro il termine di sessanta giorni dalla sua notifica, è invece inammissibile l’impugnazione immediata nel caso in cui vengano presentate deduzioni difensive. Ogni possibilità descritta è contenuta per volere del legislatore nell’atto di contestazione.
La procedura di irrogazione nella disciplina in deroga può avvenire secondo la c.d. irrogazione immediata, ovvero senza previa contestazione. Questa può avvenire in due casi specifici:

  1. Con atto contestuale all’avviso di accertamento di avviso o rettifica
  2. Mediante iscrizione a ruolo nei casi di omesso o ritardato pagamento dei tributi (anche le sanzioni derivanti da liquidazioni). L’iscrizione a ruolo non è possibile se l’ufficio ritiene che la violazione sia stata commessa con dolo o colpa grave, e per i tributi cui le violazioni si riferiscono, non è prevista la riscossione a ruolo. E’ esclusa la possibilità della definizione agevolata.

Il termine di decadenza per l’irrogazione delle sanzione è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione, il termine è rispettato anche se la notificazione è s di stata eseguita nei confronti di almeno uno degli autori dell’infrazione, in questo caso il termine è prorogato di un anno.
La prescrizione del diritto di riscossione delle sanzioni è prevista nel termine di cinque anni, va ricordato che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, l’impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione fino alla definizione del procedimento.
In via eccezionale ed in caso di richiesta dell’interessato è possibile la rateizzazione delle sanzioni, l’accoglimento della richiesta è a descrizione dell’ufficio in base alle valutazioni fatte sul contribuente-trasgressore. Tecnicamente il numero di rate mensili è di un massimo di trenta e l’interessato potrà estinguere in ogni momento l’intero debito; qualora questi salti il pagamento di una sola rata perderà il beneficio della rateizzazione.

I responsabili per la sanzione amministrativa

Il sistema sanzionatorio tributario non penale si è andato conformando al sistema penale introducendo il riferimento, della sanzione, alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione; la personalizzazione della personalità è un concreto elemento dissuasivo. Nell’evidenziare un principio di effettività dell’autore della violazione si è previsto anche il caso di chi con violenza, minaccia, ha indotto il colpevole a commettere la violazione; Chi si è servito di altri per commettere un illecito risponde in luogo del suo autore materiale. Ripreso sempre dal sistema penale è la figura dell’autore mediato, la più probabile concretizzazione è quella dell’induzione in errore, come ad esempio il caso del professionista che induce in errore il contribuente, non con l’atteggiamento doloso bensì per colpa. Le violazioni di questo tipo sono punibili in caso di dolo o colpa grave e l’ufficio dovrà provare che il professionista abbia agito in questo senso. Ci sono particolari delimitazione all’ipotesi di colpa grave che si rinvengono dal d.lgs. 472/97, una di queste è l’impunibilità dell’autore della violazione e dell’autore mediato quando la violazione è determinata da obiettive condizioni di incertezza. Altro caso che la disciplina sottolinea è quello di concorso di persone, ovvero quando più persone concorrono in una violazione ciascuna soggiace alla sanzione per questa disposta; se i soggetti sono obbligati in solido la disciplina tributaria ha ritenuto opportuno prevedere l’irrogazione di una sola sanzione e perciò salvo il diritto di regresso il pagamento di uno libera tutti gli altri.
Il caso di rappresentanti legali e negoziali di persone giuridiche ed enti con personalità giuridica è affrontato in maniera diversa ovvero la responsabilità in capo a più autori della violazione può condurre ad esiti diversi nell’applicazione della sanzione.
Il pagamento della sanzione più grave estingue tutte le obbligazioni ed è irrilevante il soggetto che provvede al pagamento se la violazione è commessa senza dolo o colpa grave e quando siano state erogate sanzioni diverse. Inoltre, data la limitazione di responsabilità fino ad un massimo di cento milioni (per colpa lieve), per l’eccedenza sopravvive la responsabilità solidale della società o dell’associazione.
Per mortis causa la disciplina dichiara l’intrasmissibilità della sanzione agli eredi, per i soggetti obbligati in solido con il de cuius se avvantaggiati dal comportamento illecito l’obbligazione solidale non si estingue.
In caso di cessione d’azienda la disciplina ha stabilito la responsabilità solidale del cessionario con il cedente sia per il pagamento dell’imposta sia per le sanzioni riferibili a violazioni commesse nell’anno di cessione e nei due precedenti, per quelle già irrogate e contestate nello stesso periodo, anche se si riferiscono a periodi precedenti. L’obbligazione del cessionario è limitata al debito che risulta agli uffici dell’amministrazione finanziaria, alla data del trasferimento. Gli uffici hanno l’obbligo di rilasciare un certificato che attesti l’esistenza o meno di contestazioni in corso; se questo è negativo il cessionario è liberato, come lo è se il certificato non è rilasciato entra quaranta giorni dalla richiesta. Essendo una sorta di chiamata a garanzia del debito sia di imposta che di sanzione, del cedente, resta salva l’escussione preventiva del cedente ed il limite quantitativo della responsabilità solidale entro il valore dell’azienda. Nessuna limitazione di responsabilità del cessionario è prevista nei casi in cui la cessione sia stata attuata in frode ai creditori, se il trasferimento viene effettuato entro sei mesi dalla constatazione rilevante penalmente vi è una presunzione relativa di frode che comporta un’inversione dell’onere probatorio a carico del cessionario che dovrà dimostrare la sua buona fede.

Per la trasformazione e fusione di società il legislatore ha stabilito che :

  1. La società risultante subentra negli obblighi delle società trasformate o fuse, la trasformazione non libera i soci già responsabili illimitatamente,
  2. Nei casi di scissione di società, anche parziale, ciascuna è obbligata in solido al pagamento delle somme dovute per le violazioni commesse prima della scissione.

Sanzioni amministrative in materia di diritto tributario

Il sistema sanzionatorio tributario non penale ha subito un processo di innovazione mediante il D.Lgs. 472 del 1997. La nuova disciplina ha superato la vecchia tipologia sanzionatoria risalente al 1929,introducendo per le violazioni di norme tributarie la pena amministrativa chiamata “sanzione pecuniaria”ossia il pagamento di una somma di denaro, e delle “sanzioni accessorie”.

La sanzione pecuniaria gode del carattere afflittivo proprio per questo il legislatore , in coerenza ,ha stabilito che il pagamento non comporta interessi che non può essere trasmessa agli eredi e che ha limiti minimi e massimi aggiornabili ogni 3 anni in linea con la variazione dei prezzi al consumo accertata dall’ISTAT nei 3 anni precedenti. Assai rilevante è il “principio di personalità” della sanzione ossia la riferibilità della sanzione alla persona fisica che ha commesso la violazione,la persona fisica che ha tratto effettivo beneficio dall’infrazione. Per le imprese individuali,le società di persone e i professionisti,le sanzioni cadono sulla persona fisica che ha posto in essere la condotta;nel caso di società o enti dotati di personalità giuridica,le sanzioni verranno applicate agli enti o alle società che nella violazione hanno tratto beneficio.

A riguardo delle già citate sanzioni accessorie ( validissimo deterrente) si intendono:
-interdizione per la durata massima di 6 mesi dalle cariche di amministratore,sindaco,revisore di società di capitali o di enti
-interdizione dal conseguimento di licenze e concessioni o autorizzazioni amministrative per l’esercizio d’impresa o attività di lavoro autonomo,sospensione massima 6 mesi
-interdizione da partecipazione a gare d’appalto e forniture,massimo 6 mesi
-sospensione massima 6 mesi dall’esercizio dell’attività di lavoro autonomo o imprese diverse da quelle indicate dal punto 2.


Il principio di legalità

Il principio di legalità delle sanzioni amministrative in materia tributaria trova le sue radici nell’art. 25 della carta costituzionale, si tratta del favor rei . Il legislatore chiarisce due articolazioni del principio:

  1. nessuno potrà essere assoggettato a sanzioni per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce violazione punibile.
  2. se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e la legge posteriore stabiliscono sanzioni di entità diverse, si applica la legge più favorevole.

Va sottolineato che non può essere assoggettato a sanzione chi ha commesso un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce violazione punibile, è naturale che vi può essere stata una riscossione parziale della sanzione .

sabato 4 ottobre 2008

Il nuovo interpello

Il nuovo interpello è una particolare forma di interpello dell’amministrazione finanziaria contemplato dall’art. 21 della legge 30/12/1991,che premette al contribuente di conoscere in via preventiva la correttezza e la legittimità del suo operato. Non vi è ancora una disciplina generale in merito ma sono stati delineati i casi di applicazione :

-quando sono stati posti in essere comportamenti elusivi con operazioni e cessioni di cui all’art. 37 bis D.P.R. 600/73

-quando vi è stata interposizione di persone come indicato nell’art. 37 D.P.R. 600/73

- quando ci sia la qualificazione di determinate spese come di rappresentanza e pubblicità.

Il contribuente richiede ,in questi casi, il parere al Ministero delle finanze mettendo a disposizione tutti i documenti conoscitivi necessari alla corretta delineazione del contributo, se entro 60 giorni non vi è risposta o il contribuente non vuole uniformarsi a quanto prestabilito può richiedere l’intervento del Comitato consultivo in base alla potestà di applicazione delle norme antielusive. Qualora entro il termine di 60 giorni il Comitato non risponda trascorsi altri 60 giorni alla diffida ad adempiere del contribuente,equivale il silenzio-assenso. Mentre in caso di parere negativo il contribuente può mettere comunque in atto l’operazione di cui nella fase di contenzioso dovrà difenderne il carattere non elusivo.
Se invece il comitato con il silenzio-assenso oppure con la diretta accettazione, quindi esprime un parere positivo si pone il problema della pronuncia nei confronti dell’amministrazione finanziaria;dato che non esiste una norma specifica,il parere del Comitato non viene giudicato come vincolante,questo è un organo super partes che emette pareri non vincolanti ma comporta l’onere della prova.
La legge 27 del 2000 che indica le disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente ha previsto la possibilità di estendere la facoltà dell’interpello a tutti quei casi in cui si presentino obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle norme tributarie,ci si riferisce precisamente a quelle norme equivoche che conduco a una interpretazione diversa e non corretta. In aggiunta se ci sono circolari,istruzioni e risoluzioni mediante le quali l’Agenzia finanziaria si è già espressa su casi simili o ce ne è informazione adeguata sui siti internet dell’ Agenzia delle Entrate, le condizioni non sono più considerate incerte. Le istanze devono fondarsi su fatti concreti e personali e la presentazione della domanda deve avvenire prima del comportamento del contribuente sia stato posso in essere.
La domanda ai fini di una corretta qualificazione tributaria deve indicare i dati del contribuente, la descrizione del caso, la firma, l’indicazione del domicilio e se richieste dall’ufficio delle documentazioni integrative.

L'autotutela

L’autotutela è il potere , riconosciuto alla pubblica amministrazione, di provvedere autonomamente al ritiro dei propri atti illegittimi o ritenuti inopportuni in sede di riesame . Gli atti di ritiro sono l’annullamento, la revoca e l’abrogazione, lo jus poenitendi della pubblica amministrazione si manifesta attraverso i provvedimenti di ritiro degli atti che non rispondono più all’interesse pubblico,cioè la giusta esazione delle imposte da parte dell’amministrazione finanziaria per mantenere e rimarcare il carattere giusto ed equo; gli atti godono della esecutorietà,ma oltre ad essere eseguiti possono essere eliminati direttamente e autonomamente dalla pubblica amministrazione senza l’intervento dell’autorità giurisdizionale. In virtù del principio della capacità contributiva l’ufficio ha come obiettivo primario quello dell’applicazione delle imposte giuste connesso a quello di improntare le sue azioni ai principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.
L’iter legislativo che ha influenzato, formato e delineato la norma sull’autotutela vede la facoltà dell’Amministrazione finanziaria di procedere con provvedimento motivato all’annullamento totale o parziale, degli atti illegittimi “salvo che sia intervenuto giudicato” . Nel potere di annullamento e di revoca il legislatore esige che si comprende anche il poter di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appare illegittimo o infondato. La disciplina inoltre ha esteso l’esercizio di autotutela ai casi di pendenza del giudizio oltre a confermare la tipologia degli atti impugnabili.
Il potere di annullamento e di revoca spetta all’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo o in caso di grave inerzia alla direzione regionale o compartimentale sovraordinata,per gli atti concernenti rinvia anche alle regioni alle province ed ai comuni. Le ipotesi di annullamento d’ufficio in caso di pendenza in giudizio e di non impugnabilità sono:

1) errore di persona

2) evidente errore logico o di calcolo

3) errore sul presupposto dell’imposta

4) doppia imposizione

5) mancata considerazione dei regolamenti d’imposta eseguiti regolarmente

6) manca documentazione successivamente sanata entro i termini di decadenza

7) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni detrazioni o regimi agevolativi precedentemente negati

8) errore materiale del contribuente facilmente individuabile dall’Amministrazione.

Non si procede all’annullamento d’ufficio per motivi sui quali si è gia espressa con sentenza l’Amministrazione finanziaria.In ultimo l’esercizio di autotutela compete per gli atti non impugnati tempestivamente e anche quando ricorrono motivi diversi da quelli a base di sentenza passata in giudicato.

Accertamento per adesione

Nuova forma di accertamento che a differenza delle altre è definito e definitivo cioè non può essere foriero di contenzioso. L’evoluzione legislativa dal 1958 al 1997 ha introdotto l’accertamento per adesione del contribuente ai fini delle imposte sui redditi e dell’ IVA, la nuova disciplina organica si articola in modo tale da renderlo uno efficace strumento di definizioni a carattere generale della più ampia tipologia di atti di accertamento.
In questo accertamento si vede la pretesa del fisco che si pone in contraddittorio con il contribuente, consentendo l’esercizio di difesa preventivamente, ossia prima dell’emanazione dell’ atto su invito a comparire prima o dopo l’ ispezione se richiesto dal contribuente, e l’esercizio di difesa successiva, ossia dopo la notifica dell’ avviso di accertamento o rettifica.
L’atto di definizione non è e non può essere oggetto di trattativa; è un atto unilaterale, tiene conto della collaborazione esplicata dal contribuente senza esserne condizionato. L’atto viene emanato come subordinato alla contestuale adesione del contribuente che viene cristallizzata nel processo verbale; l’ atto può riguardare tutte le questioni di rapporto tributario, perciò sia documentali che estimative nonché interpretative, ma non si può estendere all’obbligazione né all’applicazione di un’ imposta. L’accertamento parziale nel diritto tributario contemporaneo è inammissibile , questo però non significa che l’intero atto e tutte le controversie debbano essere definite; nel silenzio della norma si ammette la possibilità della rinuncia dell’ impugnazione dell’ avviso con la consequenziale riduzione della sanzione ad un quarto se il contribuente rinuncia all’ impugnazione e alla formulazione di istanza di accertamento e paga la somme complessivamente dovute.
L’ambito oggettivo dell’ accertamento per adesione è costituito dalle imposte più ricorrenti perciò imp. sui redditi ed IVA, successioni e donazioni, registro , ipotecarie e catastali, INVIM e IRAP. Per l’imposta sui redditi ed IVA riguarda ogni tipo di contribuente e ogni tipo di reddito.
L’ambito soggettivo si chiarisce che possono essere parti dell’accertamento tutti i soggetti passivi d’imposta, e quindi persone fisiche e giuridiche, società personali e associazioni e anche sostituti d’ imposta. La procedura può essere eseguita sia dopo la notifica dell’ atto che in fase preliminare alla formazione dello stesso.
Gli effetti dell’ accertamento per adesione sono la DEFINITIVITA’ dallo stesso , la RIDUZIONE della sanzione, l’ ESCLUSIONE DELLA PUNIBILITA’ dei reati convenzionali.
Definitività: l’accertamento non è integrabile né modificabile, l’ interazione ne è consentita solo in caso di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi che consentono il superamento di alcune soglie minime ossia quella del maggior reddito superiore del 50% di quello definito e il maggior reddito superiore a 150 milioni.
Riduzione delle sanzioni: la riduzione ad un quarto del minimo previsto dalla legge si applica alle violazioni relative ai tributi commesse nel periodo d’imposta attinente all’ accertamento. L’ agevolazione fornita dalla riduzione è stata introdotta dalla nuova disciplina e permette l’ estinzione di tutte le obbligazioni di soggetti diversi dal contribuente autori di violazioni non commesse con dolo o colpa grave.Quando il contribuente rinuncia all’ impugnazione (come già detto sopra) vi è la riduzione di 1/ 4 la stessa è prevista se provvede al pagamento entro i 60 giorni dalla notifica senza però rinunciare alla possibilità di impugnazione.
Gli aspetti procedurali vedono la competenza a procedere all’ accertamento per adesione, dell’ Agenzie delle Entrate nella circoscrizione in cui il contribuente ha il domicilio fiscale. Gli uffici rideterminano la situazione fiscale del contribuente. L’iniziativa può venire dall’ agenzia stessa che in via preventiva può chiamare il contribuente prima della notifica, a comparire oppure può venire dal contribuente stesso che formula un’ istanza inseguito ad accessi, ispezioni e verifiche sul suo conto; in questo caso il termine per impugnare l’atto è sospeso per 90 giorni.
Il procedimento si conclude con la presentazione dell’ atto di accertamento per adesione da parte dell’ ufficio al contribuente. La sottoscrizione dell’atto non perfeziona la procedura ,solo con il pagamento delle somme dovute l’atto può dirsi perfezionato.

Accertamento modificativo e integrativo, accertamento parziale

Ai sensi dell’art 43 D.P.R. 600/33 al sorgere di nuovi elementi l’ufficio, in possesso di questo materiale probatorio prima sconosciuto, può integrare o modificare avvisi di accertamento precedentemente notificati.
Il legislatore pone limiti agli uffici per integrare e modificare, in quanto l’attività deve sempre e comunque sottostare ai principi di legittimità, ma il suddetto non pone vincoli per la riduzione degli accertamenti né per l’ annullamento di questi. Nel 1992 con un decreto il nostro legislatore è intervenuto introducendo il potere di autotutela per l’amministrazione finanziaria; vi sono disposizioni che rispondono ad esigenze di giustizia sostanziale ed economicità dell’azione amministrativa alle quali l’amministrazione può ricorrere per via autonoma nonché su sollecitazione del contribuente. L’ autotutela non risponde a vincoli temporali o a limitazioni, è a discrezionalità amministrativa e per i profili fiscali consente la revoca, l’annullamento in caso, degli atti amministrativi illegittimi o infondati.
Gli accertamenti modificativi e integrativi rappresentano una deroga al principio generale che contempla l’atto accertativo unico e globale,sulla stessa linea si muove un altro tipo di deroga ovvero l’accertamento parziale. La norma disciplina la possibilità di procedere all’accertamento parziale delle dichiarazioni, qualora l’ufficio riceva segnalazioni (dal centro informativo delle imposte dirette o dalla Guardia di Finanza o da pubbliche amministrazioni o da dati posseduti dall’anagrafe tributaria)di elementi specifici, indicatori di discrepanze tra quanto dichiarato e quanto è realmente imponibile. La possibilità della singola voce contestata non richiede la partecipazione del Comune , che si dimostra necessaria invece per l’accertamento globale.

Accertamento presuntivo

Il soggetto passivo d’imposta non sempre detiene la contabilità regolarmente e trova agevolazioni nell’omettere , in sede di dichiarazione, la reale situazione fiscale, ai fini di una conoscenza veritiera di questa gli uffici possono avvalersi dell’accertamento presuntivo. Le ricostruzioni presuntive si differenziano dalla ricostruzione diretta del fatto ,che avviene quando si ha una traccia del fatto stesso, la distinzione fatta dal legislatore è in: Legali, Assolute o Relative e Semplici :

  • Legali: la legge stabilisce la connessione tra fatto noto e fatto ignoto dispensando da qualunque prova coloro a favore dei quali sono stabilite determinando una inversione dell’onere probatorio.
  • Assolute o relative: distinzione fatta in ragione della possibilità concessa di opporsi o meno alle conclusioni predeterminate dalla norma.
  • Semplici: sono quelle che esprimono il rapporto tra fatto noto e ignoto attraverso una inferenza probabilistica.
La normativa stabilisce inoltre che le presunzioni semplici siano lasciale alla prudenza del giudice e vengono considerate se sono gravi precise e concordanti,questo in linea con il loro carattere delicato. Mutuando ciò dal sistema civilistico, in materia tributaria abbiamo la completa esclusione della prova testimoniale ,punto di forza in materia civilistica.

Esempi chiarificatori di quanto detto sono due :

  1. In materia di imposte dirette, abbiamo l’art 32 del DPR 600/73 che presume la natura reddituale dei versamenti bancari del contribuente il quale è chiamato a dimostrare la diversa natura degli stessi o che questi siano stati considerati ai fini della dichiarazione
  2. In materia d’iva art 53 che presume la cessione dei beni acquistati ,importati o prodotti che non si trovino nei locali in cui il contribuente esercita la sua attività.

L’utilizzo delle presunzioni in materia fiscale spetta all’ufficio sia in sede di rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche che dei redditi determinati in base alle scritture cintabili, quando non vi sia corrispondenza tra regolarità formale e sostanziale (sempre che le presunzioni siano gravi precise e concordanti).
L’inosservanza degli obblighi di dichiarazione e di tenuta delle scritture contabili comporta,è possibile, la rettifica anche in base a presunzioni prive dei requisiti di gravità,precisione e concordanza,con il risultato di un affievolimento dell’ onere probatorio a carico dell’ufficio. La legge prevede anche che in via preventiva ci siano chiarimenti tra l’ufficio e il contribuente. Anche in presenza di adempimenti contabili formalmente regolari, gli uffici utilizzano gli studi di settore. È previsto anche l’utilizzo delle presunzioni per l’accertamento sintetico.

venerdì 3 ottobre 2008

Studi di settore

Ricompresi nell’accertamento induttivo,gli studi di settore hanno la funzionalità di spingere i contribuenti a non evadere il fisco, imponendo dei minimi di dichiarazione. Il punto di forza di questo strumento è la campionatura dei contribuenti per classi ,settori appunto, che rendono più agevole il processo di accertamento sulle eventuali violazioni commesse; sulla Gazzetta Ufficiale vengono pubblicati gli elementi caratterizzanti l’attività di ciascun settore per consentire una maggiore chiarezza e trasparenza tra gli organi di controllo e i contribuenti. In origine ci si riferiva per questo tipo di analisi a dei coefficienti (tipo di attività, ambito economico, acquisti, prezzi medi, capitale investito, attività lavorativa etc. ) che risultavano troppo generici per alcuni versi, e per altri di numero troppo limitato. Nel 1998 il legislatore ha ritenuto opportuno dettare le modalità di utilizzazione degli studi di settore (legge n. 146,art 10) facendo una sostanziale differenza tra gli esercenti arti e professioni e gli esercenti attività d’impresa con contabilità ordinaria. L’istituto della programmazione fiscale introdotto nel 2005 è una evoluzione del sistema di accertamento mediante studi di settore, l’ istituto della pianificazione fiscale è ino strumento che si è andato ad aggiungere al concordato preventivo biennale per il quale i soggetti interessati vedevano applicare un incremento percentuale a quanto dichiarato nel periodo d’imposta se esercitavano attività d’impresa o arti e professioni. A decorrere dal periodo d’imposta in corso da gennaio 2006,all’istituto della programmazione fiscale possono accedere i titolari di reddito d’impresa e gli esercenti arti e professioni per i quali trovano applicazione gli studi di settore. I soggetti accettando gli studi di settore vedono determinato preventivamente e per una durata di 3 anni la base imponibile caratteristica dell’attività svolta. Questa rilevazione comporta una riduzione d’imposta fiscale e contributiva per la base imponibile eccedente quella programmata, sia per l’IRAP.
La proposta individuale di programmazione fiscale è fatta in base a elaborazioni operate dall’ anagrafe tributaria. Si perfeziona con l’accettazione da parte del contribuente dell’ Agenzia delle Entrate degli importi, che valgono per 3 anni e che individuano la base imponibile caratteristica dell’ attività svolta ,esclusi i componenti straordinari di reddito.
In caso di notifica entro il 31/12/2005 di processi verbali di constatazione con esito positivo, atti di accertamento o rettifica, l’accettazione di proposta deve essere comunicata entro il 16/10/2006 dal contribuente ;sempre in quest’arco di tempo può essere definita in contraddittorio dallo stesso contribuente se è in grado di documentare la non correttezza dei dati contabili e strutturali valutati. Con l’accettazione della proposta vi è l’inibizione dei poteri dell’amministrazione finanziaria per la parte che eccede quella programmata, ferma restando l’aliquota del 23%,quelle marginali per l’applicabili al reddito nonché quella applicabile alle società ridotte di 4 punti percentuale;i contributi previdenziali si applicano solo per la parte programmata così come l’ IRAP.
Ai fini IVA il contribuente assolve agli obblighi formali e sostanziali anche se sono inibiti i poteri dell’amministrazione. In caso di divergenza tra gli importi dichiararti e quelli programmati L’Agenzia delle entrate deve procedere ad accertamento parziale (considerando il reddito oggetto di programmazione, l’imposta sull’ IVA e in ragione dei volumi di affari).
L’istituto della programmazione cessa di avere effetto dal periodo d’imposta nel quale si è verificata la variazione.

Accertamento induttivo

L’art. 39 del D.P.R. 600/73 prevede la possibilità dell’ufficio di ricostruire il reddito imponibile d’impresa anche prescindendo dalle scritture contabili avvalendosi quindi di presunzioni semplici e prive dei requisiti gravi, precisi, concordanti. L’accertamento ha inizio se gli elementi dichiarati non corrispondono a quelli in bilancio o si rileva falsità e incompletezza, ma soprattutto, l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate. Di base questo tipo di accertamento prevede che non ci sia spazio all’arbitrarietà seppur prescindendo dai requisiti già citati, tutti gli elementi e i fatti rinvenuti devono sottendere la credibilità. L’accertamento induttivo sancisce l’effettivo abbandono dell’efficacia probatoria delle scritture contabili in base a sospetti . In materia d’iva l’accertamento non può mancare dei requisiti gravi, precisi e concordanti, infatti l’ufficio procede in caso di omessa presentazione di dichiarazione da parte del contribuente non prevede la norma l’accertamento sintetico ma la ricostruzione del reddito netto deve fondarsi sulla reale attività del contribuente.

Accertamento sintetico

Altro tipo di accertamento è quello sintetico usato dall’ufficio delle imposte per ottenere il reddito imponibile del contribuente non dalle fonti ma da elementi economicamente rilevanti che denunciano un reddito diverso da quello dichiarato. Scostandoci dagli elementi evidenziati dalla norma si va a guardare la situazione del soggetto inquisito, perciò il suo tenore di vita, la disponibilità di beni e servizi, gli investimenti. Elementi questi da cui si può desumere una capacità di spesa diversa ed ulteriore da quella dichiarata, il presupposto dell’accertamento sintetico è che il reddito induttivamente ricostruito si discosti di almeno un quarto da quello dichiarato, stima che considera ovviamente la componente incertezza caratteristica di valutazione. Il reddito determinato induttivamente viene considerato reddito di capitale in questo modo il legislatore supera l’illegittimità costituzionale scaturente dalla determinazione del reddito per via induttiva. L’onere probatorio viene suddiviso tra l’ufficio e il contribuente , il primo ha il compito di procedere alla ricostruzione sintetica portando prova degli elementi raccolti quale base di ricostruzione e motivando le ragioni dell’incidenza di questi sotto il profilo quantitativo;il contribuente invece ha l’onere di provare che il reddito eccedente si componga di redditi esenti o soggetti a ritenuta oppure provare il ricorso al credito, lo smobilizzo patrimoniale o di dimostrare che l’onere gravi su un terzo.
Nell’ambito dell’accertamento sintetico va rilevata la presenza del redditometro(art. 38 D.P.R. 600/73).Questo è una determinazione del reddito legata ad indici di spesa difficilmente riconducibili per i quali si fa una quantificazione generale. A garanzia del contribuente vi è la scelta di circoscrivere l’apprezzamento del redditometro permettendo comunque all’ufficio di servirsi di un utile strumento accertativo. Il decreto amministrativo del settembre 1992,quale atto regolamentare contenente presunzioni in ordine all’entità del reddito determinabile in base ai fatti previsti dallo stesso, contempla i presupposti per l’accertamento, nonché profili cautelativi del contribuente, quali la differenza di un quarto del reddito accertato da quello dichiarato e che quest’ultimo non risulti congruo rispetto a quello desumibile dagli indici dati dal decreto per almeno 2 anni. Le contestazioni utili al contribuente teoricamente sono : far valere, se presenti, i vizi di illegittimità del decreto ministeriale (in tal caso il giudice amministrativo può annullarlo e il giudice tributario può disapplicarlo), e contestare la quantificazione del reddito in base ai coefficienti redditometrici, un’ azione che realtà è impossibile.

Accertamento analitico e accertamento d'ufficio

Le dichiarazioni dei redditi presentate possono essere investite da diverse metodologie di rettifica e di accertamento. Dalla riforma del 1972-73 si estrapola la forma dell’accertamento analitico: una ricostruzione dell’imponibile attraverso la considerazione delle sue componenti reddituali. L’accertamento analitico valuta diversamente o, se c’è omissione,evidenzia le componenti reddituali ,attraverso una metodologia probatoria diretta,cioè che si avvale di prove storiche,o una ricostruzione presuntiva,cioè una metodologia probatoria induttiva , a tal riguardo le presunzioni devono presentare le caratteristiche di :gravità, precisione e concordanza.
Per i redditi d’impresa è l’esito dell’individuazione o della rettifica di singole componenti attive o passive che conducono ad una sua diversa determinazione. Per le persone fisiche invece consiste nella diversa determinazione del reddito complessivo imponibile attraverso la considerazione delle singole fonti,perciò redditi fondiari,di capitale,di lavoro dipendente o autonomo etc.
Nel caso,invece, in cui il contribuente non presenti la dichiarazione, l’ufficio delle imposte da avvio all’accertamento d’ufficio. L’attività prevede la ricostruzione del reddito imponibile effettivo e, come richiesto dall’art 53 della cost., in base all’esistenza di una effettiva capacità contributiva. L’ufficio determina il reddito del contribuente utilizzando le notizie legittimamente raccolte e può avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità,precisione e concordanza ,grazie proprio alla larga possibilità di movimento datagli dalla norma, nell’attività di ricostruzione. L’ufficio può avvalersi sia della metodologia analitica che induttiva. In ultimo si ricorda che la pretesa impositiva formulata dall’ufficio e corredata di motivazione, fornisce una garanzia defensionale del contribuente tale per cui il giudice può valutare i fatti addotti da entrambe le parti del contenzioso.

Avviso di accertamento per le imposte sui redditi e per l'IVA

Nello schema di procedimento di imposizione si distinguono una serie di sequenze successive caratterizzate dalla tenuta delle scritture contabili e dalla dichiarazione, dal controllo delle prime e della seconda anche attraverso l’espletamento dei poteri ispettivi e dall’eventuale accertamento in rettifica mediante la notifica di avvisi di accertamento. Gli uffici delle imposte procedono al controllo delle dichiarazioni e all’individuazioni dei soggetti che hanno omesso la presentazione. In base ai risultati dei controlli e delle ricerche effettuati, gli uffici procedono alle eventuali contestazioni attraverso accertamenti in rettifica delle dichiarazioni presentate e accertamenti d’ufficio nei confronti dei soggetti che hanno omesso la dichiarazione.
In materia di IVA si utilizza una terminologia diversa in quanto la normativa prevede un atto di accertamento denominato avviso di rettifica in caso di contestazione della dichiarazione annuale presentata dal contribuente e un atto di accertamento dell’imposta denominato avviso di accertamento, se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale.
Nell’uno e nell’altro caso, gli uffici procedono alla rettifica delle dichiarazioni presentate quando il reddito complessivo dichiarato risulta inferiore a quello effettivo o, per le sole persone fisiche, non sussistono o non spettano in tutto o in parte, le deduzioni dal reddito o le detrazioni di imposta indicate nella dichiarazione oppure quando risulti un’imposta sul valore aggiunto inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile, superiore a quella spettante.

Riguardo l’emanazione dell’atto di accertamento, i presupposti sono 3:

a. Difformità tra capacità contributiva dichiarata ed effettiva

b. Competenza dell’ufficio che emette l’accertamento

c. Mancata decadenza del termine antro il quale l’accertamento deve essere effettuato

La competenza spetta in materia di imposte dirette all’ufficio nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata. Il domicilio fiscale è il comune in cui la persona è iscritta all’anagrafe.
In caso di italiani che si trovano all’estero, il loro domicilio fiscale è il comune della loro ultima residenza in Italia.
Per i soggetti non residenti, ove trattasi di persone fisiche verrà quale domicilio fiscale il comune dove si è prodotto il reddito o nel caso in cui il reddito si produce in più comuni, quello in cui si è prodotto il reddito più elevato. In materia di IVA l’ufficio competente è quello provinciale del comune in cui si ha il domicilio fiscale. Per i non residenti, l’ufficio competente è quello della provincia di Roma. Gli accertamenti per i 2 settori impositivi devono essere notificati entro il 31/12 del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione; entro il quinto anno successivo se non è stata presentata la dichiarazione. Ai fini della legittimità degli avvisi di accertamento, gli accertamenti richiedono siano sottoscritti dal capo dell’ufficio; se ciò non avviene l’atto è nullo e può essere contestato di fronte alle commissioni tributarie. L’accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati e delle aliquote applicate.Si richiede anche che gli atti di accertamento siano motivati. In questo modo il contribuente riesce a capire come si è arrivati ad un risultato diverso rispetto alla dichiarazione.
In caso di utilizzo di particolari metodologie di accertamento è necessario che l’ufficio esponga anche espressamente le ragioni che le hanno consentite essendo tali metodi previsti in casi particolari. La conoscenza di tali fondamentali elementi consente al contribuente di espletare il diritto di difesa che gli è stato espressamente dalla stessa Carta Costituzionale. Per cui l’obbligo di motivazione trova fondamento nel diritto di difesa del contribuente. Poiché si possa ritenere soddisfatto l’obbligo di motivazione, occorre che l’ufficio inserisca nell’atto di accertamento tutti gli elementi che sono a sua conoscenza e l’iter logico seguito per giungere ad una certa quantificazione della capacità contributiva del soggetto passivo diverso da quella dello stesso dichiarata od omessa. La giurisprudenza non ha sempre accolto i profili di illegittimità della motivazione: ha così elaborato un distinguo tra motivazione mancante e motivazione insufficiente. La prima rende nullo e insanabile l’atto, la seconda è suscettibile di essere sanata in corso di giudizio a seguito di una sorta di integrazione resa possibile tramite l’attività ulteriore dell’ufficio.
Dalle problematiche relative alla motivazione occorre tenere distinto il profilo della prova dei fatti affermati nell’accertamento. Infatti mentre con la prima (motivazione) si esprime l’iter logico argomentativi che l’ufficio percorre attraverso la valutazione dei fatti che sono a sua conoscenza, con la sua seconda l’ufficio dimostra l’esistenza dei fatti che ha utilizzato.L’ufficio deve immettere nell’atto l’indicazione delle prove sulle quali si fonda la pretesa impositiva e le valutazioni di fatto e di diritto che ad essa coincidono; di contro, potrà fornire la prova già indicata o integrarla se insufficiente, anche in sede di giudizio.
Gli atti di accertamento devono essere portati a conoscenza del contribuente tramite la notificazione:

a) La notificazione è eseguita dai messi comunali

b) Il messo deve far sottoscrivere dal consegnatario l’atto o l’avviso

c) La notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario, salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie

d) È in facoltà del contribuente eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti.

La variazione o la modificazione dell’indirizzo che non risultano nella dichiarazione annuale, ai fini delle notificazioni hanno effetto, per le persone fisiche, dal 60esimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica.

Per il contribuente l’atto di imposizione dovrà intendersi definitivo ove siano decorsi i termini per l’impugnazione oppure quando l’impugnazione sia respinta. Sotto il profilo della riscossione, l’atto di accertamento divenuto definitivo costituisce titolo per la riscossione dei relativi importi.

giovedì 2 ottobre 2008

La tutela del contribuente

Dianzi al giudice tributario
Per inquadrare la tutela del contribuente, bisogna far riferimento all’art. 113 Cost.: contro gli atti della P.A. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinnanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa; tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.
Oggetto del processo tributario è in definitiva il controllo della legittimità dell’attività amministrativa di imposizione dei tributi nel caso concreto, controllo che viene svolto con garanzia giurisdizionale da appositi organi di giustizia, le commissioni tributarie.

La giustizia tributaria potrà eventualmente esaminare la legittimità dell’atto ispettivo, solo qualora esso non sia stato precedentemente impugnato e l’illegittimità dello stesso condizioni in modo rilevante l’atto di imposizione oggetto del processo tributario.
Il vigente contenzioso fissa gli atti impugnabili (atti di imposizione contro i quali è ammissibile il ricorso alle commissioni tributarie) e l’oggetto della giurisdizione tributaria (le controversie per le quali è competente il giudice tributario). Tra essi non rientra l’esercizio illegittimo dei poteri ispettivi. Pertanto tali casi deve ritenersi competente, a seconda sia leso un diritto soggettivo o un interesse legittimo, il giudice civile o il giudice amministrativo.

Dianzi al giudice civile
Sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte quelle cause per contravvenzione e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque possa essere interessata la P.A. e ancorché siano stati emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa. Questa disposizione attribuisce alla competenza del giudice civile, tra l’altro, le controversie tra privati e P.A.
Le lesioni dei diritti soggettivi da parte dell’autorità amministrativa, nell’esercizio di attività ispettiva, quando presentano carattere di illiceità rendono l’atto inesistente. L’attività ispettiva provoca in tali casi un illecito civile di cui la P.A. può rispondere per i danni conseguenti all’attività illegittima. Il giudice civile provvederà a restaurare giuridicamente la posizione del contribuente leso dall’illecita attività ispettiva.

Dinanzi al giudice amministrativo
La posizione soggettiva di interesse legittimo, ricorre quando un atto amministrativo esista ma sia inficiato da uno dei vizi tipici di illegittimità. La sanzione dell’annullamento, che la legge commina per gli atti amministrativi viziati da illegittimità, ha la funzione della tutela della conformità alla legge dell’atto amministrativo, ma altresì restaura la situazione soggettiva lesa, in quanto rimuove l’atto illegittimo, permettendo così al diritto degradato di riespandersi.
Il complesso degli organi giurisdizionali amministrativi sono: i TAR e il Consiglio di Stato.
Oggetto di impugnazione sarà il processo verbale di constatazione, qualora in esso si ravvisino i vizi di incompetenza, violazione di legge e eccesso di potere, che inficino di illegittimità le attestazioni contenute in tale atto conclusivo del procedimento ispettivo, entro il termine di 60 gg.
Nell’ipotesi in cui l’esecuzione dell’atto ispettivo possa provocare al ricorrente danni gravi e irreparabili, lo stesso può richiedere al TAR, mediante apposita istanza, la sospensione dell’esecutorietà dell’atto impugnato. L’ordinanza non è autonomamente impugnabile avanti il Consiglio di Stato.
L’annullamento dell’atto ispettivo travolge tutte le ulteriori attività poste in essere ai fini strumentali della constatazione, poiché la decisione elimina tale atto dall’effettualità del diritto.



L'illeggittimità dell'atto ispettivo

L’attività di ispezione si risolve in una restrizione di diritti o interessi del soggetto inquisito; inoltre, il procedimento ispettivo è finalizzato al controllo fiscale.Al contribuente sono riconosciuti anche nei confronti della P.A. alcuni diritti definiti fondamentali, in quanto strettamente attinenti all’esplicazione interna della personalità del soggetto. Tali diritti sono il diritto di domicilio, libertà personale, inviolabilità della corrispondenza, segreto professionale, industriale, bancario e il diritto alla c.d. libertà di fatto.
Nei casi però in cui la realizzazione di un interesse pubblico di particolare rilevanza si ponga in contrasto con la tutela individuale, il diritto del singolo viene meno. In particolare, l’attività ispettiva seppur gravemente lesiva dei diritti del soggetto passivo, può essere autorizzata dalla legge solo per gli scopi tassativamente indicati dalla stessa norma, cioè sanitari, di incolumità pubblica, economici e fiscali.
Quando l’organo ispettivo ritiene sussistenti i presupposti legali per procedere ad ispezione e pone in essere l’atto ispettivo, i diritti dell’inquisito si affievoliscono fino a divenire interessi protetti di riflesso dall’ordinamento giuridico. Essi sono destinati a riespandersi una volta concluso l’iter ispettivo. Se l’atto ispettivo degrada il diritto è funzionalmente e territorialmente incompetente; l’interesse del contribuente potrà trovare una tutela consequenziale a quella della non legittimità dell’atto. In particolare, per poter trovare i vizi di legittimità è ancora seguita la ripartizione di vizi di incompetenza, eccesso di potere e violazione della legge. L’incompetenza si realizza quando l’autorità ispettiva abbia esorbitato dai limiti della propria attività invadendo la competenza di un’altra autorità ispettiva. L’incompetenza può essere assoluta o relativa. È assoluta quando all’organo dello Stato non è riconosciuto alcun potere ispettivo. È relativa allorquando l’incompetenza riguarda la materia di pertinenza.
Il secondo dei vizi di legittimità è l’eccesso di potere che sussiste ogni qual volta l’atto ispettivo risulti viziato nel suo aspetto funzionale. In questi casi l’amministrazione finanziaria si avvale di poteri ispettivi per perseguire fini diversi da quelli che la legge prevede per le ispezioni tributarie.
Su istanza del contribuente, l’atto è da ritenersi invalido, pena l’annullabilità dell’atto. L’annullamento è quindi il mezzo mediante il quale si restaura su istanza del privato, la legittimazione amministrativa.La violazione di legge ha carattere residuale, concernendo il contenuto, o la forma dell’atto ispettivo o la procedura seguita dell’organo ispezionante.
Riguardo i vizi formali, essi vanno riferiti all’atto dichiarativo che riassume le operazioni eseguite, quindi qualora le operazioni ispettive non siano fatte risultare dal processo verbale, ma da un atto di natura diversa, tutta l’attività ispettiva svolta sarà viziata da violazione di legge.

I Poteri Istruttori (2)

Ispezione negli Istituti professionali e negli Istituti di credito

Nell’ambito dei segreti riconosciuti e tutelati dal diritto, quello professionale è caratterizzato dall’elemento soggettivo e dall’inevitabilità di ricorrere a determinate persone per la cura dei propri interessi che altrimenti resterebbero privi di idonea assistenza. Peraltro il segreto professionale si presenta come un vero e proprio obbligo giuridico penalmente sanzionato in caso di violazione.
Ora è previsto che in ogni caso è richiesta l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per l’esame dei documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale, ferma restando la norma all’art. 103 del codice di procedura penale. Ora nell’attuale sistema, l’autorizzazione del procuratore della Repubblica non è richiesta ai fini di un mero controllo amministrativo contabile, ma solo per rimuovere un’eventuale eccezione di segreto professionale di cui il professionista intenda avvalersi a tutela di entrambi i documenti o a salvaguardia di particolari notizie.
Le categorie di artisti e professionisti sono considerati in ordine all’espressa previsione della necessità della presenza del titolare dello studio o di un suo incaricato onde eseguire l’accesso.
Da un’interpretazione sistematica, sembra che le ispezioni della documentazione amministrativo- contabile non troverebbero spazio nella tutela dell’art. 103 c.p.p., che comunque riguarda solo una categoria di professionisti: avvocati e procuratori. Pertanto le garanzie di libertà del difensore di cui all’art. 103 c.p.p. sembrano riguardare esclusivamente l’ispezione e ricerca di documenti e la richiesta di notizie per i quali è eccepito il segreto professionale.
Viene sancita l’inutilizzabilità dei risultati delle operazioni compiute quando siano eseguite senza osservare le predette disposizioni a garanzia del difensore, tra le quali rientra anche l’espresso divieto di sequestro presso lo stesso di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpi del reato.
Di fronte all’eccezione di segreto professionale posto dal difensore nel corso di ispezione e ricerche di documenti, l’organo procedente trova dei limiti all’esercizio dei poteri ispettivi determinati tassativamente dalla legge a garanzia della libertà del difensore, la cui violazione comporta, oltre che eventuali responsabilità penali, la caducazione espressa di ogni possibilità di utilizzo. Diversamente se l’eccezione del segreto professionale è posta da altro professionista, l’organo procedente dovrà richiedere una particolare autorizzazione alla procura della Repubblica onde procedere ad ispezione e ricerca di documenti e richiesta di notizie.
Riguardo il segreto bancario, largamente condivisa è la tesi che basa il riconoscimento giuridico e l’obbligo correlativo del segreto bancario nella consuetudine tradizionalmente e universalmente rispettata dalle banche di mantenere il più stretto riserbo sui cliente sulle rivelazioni di affari. Gli uffici delle entrate e la polizia tributaria possono richiedere, previa autorizzazione dell’ispettorato compartimentale delle imposte dirette e per la GF del comandante di zona, alle aziende e istituti di credito e all’amministrazione postale, copie dei conti intrattenuti con i contribuenti con specifica di tutti i rapporti connessi. Gli uffici delle entrate hanno la potestà di disporre l’accesso di propri impiegati muniti di apposita autorizzazione presso le pubbliche amministrazioni e gli enti indicati allo scopo di rilevare direttamente i dati e le notizie previste, nonché presso le aziende e istituti di credito e l’amministrazione postale, al fine di poter direttamente rilevare i dati e le notizie relativi ai conti la cui copia sia stata richiesta e non sia trasmessa entro il termine di 60 gg o quando l’ufficio abbia fondati sospetti circa la completezza o esattezza dei dati e notizie riguardanti la copia dei conti trasmessa.Gli uffici delle entrate e della polizia tributaria, previa autorizzazione del direttore regionale delle entrate e per la GF del comandante di zona, possono richiedere a soggetti sottoposti ad accertamenti il rilascio di una dichiarazione contenente l’indicazione della natura, del numero e degli estremi identificativi dei rapporti intrattenuti con aziende e istituti di credito (ecc.) in corso ovvero non estinti da non più di 5 anni dalla data della richiesta.Coloro che eseguono le ispezioni e le rilevazioni o vengono in possesso dei dati raccolti devono assumere direttamente le cautele necessarie alla riservatezza dei dati acquisiti.